Parte I…Once, this time

C’erano una volta un coniglio bianco con la passione per il ticchettio degli orologi e una ragazzina matta per la quale una sola realtà non era abbastanza.

La premessa ricorda una nota favola, ma le favole rivivono spesso e altrettanto spesso amano indossare un diverso finale.

Dunque, c’erano una volta, e ci sono ancora, tazze da tè e gatti parlanti, in un paese delle meraviglie fatto di magia e asfalto, alberi e scoiattoli dalle lunghe code grigie.

Il coniglio di questa favola assomiglia per lo più ad un ragazzo, eccezion fatta per le orecchie a punta, che sempre gli rammentavano la sua reale natura. Amava gli orti, il verde, lo strudel e le torte di carote.

Purtroppo il mondo spesso fraintende i conigli e, sebbene il nostro fosse dotato di un particolare senso dell’umorismo, che gli rendeva la cosa divertente, non era semplice per lui essere visto davvero sotto tutto quel pelo bianco. Fu forse per questo che decise di imparare svariate lingue, per trovare le parole con le quali qualcuno potesse capire.

Un giorno il coniglio sbucò in un luogo diverso, in una città fatta di luci e cortili interni, dove le ragazzine matte trovano se stesse e dove in molti si perdono per sempre.

Fu qui che rivide dopo molto tempo la ragazzina matta che apparteneva alla sua favola del momento. Viveva in una minuscola stanza piena di luci e poster di quadri alle pareti, che sapeva di fumo e candele alla vaniglia. Il suo frigo era vuoto, la sua testa era piena e le sue mani gelate. Certe sere erano così fredde che non si sapeva mai se a bagnarle le guance fosse la pioggia o la tristezza. Durante quei momenti la ragazzina matta tendeva a puntare i piedi, sperando che prima o poi le venisse la voglia di saltare nelle pozzanghere.

Fu così che trovò il coniglio bianco, tra lo smog e il cemento e altri suoi conoscenti che non le importava di conoscere.

Lo lasciò entrare senza una ragione, pur sapendo che non c’era abbastanza spazio in una stanza così piccola e in una testa così piena. Ma lui le fece il tè e le rubò le sigarette; la mattina la riempì di domande, prima di salutarla come se la conoscesse già, o come se sapesse che l’avrebbe imparata.

Passarono gli arcobaleni e i mesi e gli esami.

La ragazzina matta finiva libri e confezioni di tè e il Bianconiglio correva tra un ufficio e un campo da calcio in un mondo che per lei sarebbe stato troppo reale.

La ragazzina matta ritrovò il coniglio nel posto da cui veniva, nel posto da cui scappava. Si ricordava i suoi occhi nocciola e la sua risata che le scaldava lo stomaco.

Sulle panchine di legno dei parchi in cui lui era cresciuto lei provava a soffiare via un po’ di distanza e a lasciare andare la paura, come fosse un aquilone.

Ci furono bagni sotto le stelle e musica e verdure e sale ed enormi colazioni la domenica mattina. C’era sempre il sole.

Dalla canna di una bici la ragazzina matta trovava la città del suo liceo abbastanza magica da poterci vivere dentro.

Il cibo sapeva di pizza rubata, riso thailandese, mais tostato e mostarda.

Potevano ballare tra una folla di tedeschi ubriachi in magliette fluorescenti o fuggire in case tra i boschi, a mangiare hummus di ceci e ad annusare fiori di lavanda.

Divisero i propri letti e le proprie vite senza chiedersi nemmeno se ne fossero capaci.

Insieme conobbero un gatto tigrato con due lunghe orecchie pelose e zampine di velluto, che si scoprì essere un mini-ocelot divoratore di stranezze. Fu così semplice amare quel gatto che il Bianconiglio finì con il dargli una casa, una seggiolina alta perchè potesse stare a tavola e la parte migliore di sè.

La ragazzina matta assemblò per il coniglio collane di fiori finti e pop corn e lui cucinò per lei spaghetti con le acciughe e insalata di cannelli.

Forse è bene ricordare che i personaggi delle fiabe sanno dare vita all’assurdo come fosse un semplice capitolo. Fu infatti proprio così che il Bianconiglio, dopo averla inseguita e dopo essersi fatto inseguire giù per la sua tana, inseguì di nuovo la ragazzina matta fino alla terra della Regina, che alcuni dicono sia di cuori, altri d’Inghilterra.

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