Un po’ di metaletteratura spicciola

Bergson sosteneva che noi ci basiamo su costanti generalizzazioni e più che vedere “riconosciamo” e guardiamo quello che basta a riconoscere. In questo ci aiuta il linguaggio, che con ogni parola fa una categoria del reale. In questo gioco di definizione-riconoscimento di quello che abbiamo davanti l’unicità, l’individualità va persa. Probabilmente il solo spiraglio, il solo margine di libertà, di possibilità di dire l’unico, sta nel collegamento, nel vuoto dell’ incastro tra una parola e l’altra. L’unica chance sta nel forzare il linguaggio fino a usarlo per dire quello che esso non contempla, che non può dire.
È nell’individuale, nell’unico, nel non generalizzato che sta il senso di tutto. O almeno sta il senso di questo blog patetico, che farebbe bene a restare sconosciuto ai più

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